“Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinande Céline (1932)

 

Un romanzo che, più che il Novecento, è riuscito a narrare e capire l’uomo, o almeno la sua parte nera. Bardamu è l’emblema della peggiore natura umana: meschino, egoista, vile. Eppure sincero, vero, onesto. La sua è un’odissea nella vacuità e nell’insensatezza della vita, da cui è troppo codardo per separarsi. Bardamu galleggia, come la merda. E tale si sente.

Céline ci regala pagine vivide, sulla guerra, sul colonialismo, sulla metropoli, sulla periferia, sulla povertà; dove il collante è sempre l’assurdità del “vivere per respirare una volta di più”.

Scrittura colloquiale, ritmata, vicina al parlato, vera anch’essa come l’uomo perduto che narra.