Il confine - racconto (luglio 2016)

 
 

Apparso su "UCT - Uomo Città Territorio" del luglio-agosto 2016


“L'ipotesi del nostro Presidente di indire un referendum popolare per approvare le misure di austerità e il patto fiscale dell'Unione sta suscitando accese polemiche. Dure parole sono giunte dai vertici del Direttorio che non intendono accettare una simile...” Clic. La ragazza spense il televisore e si mise a giochicchiare con la scatola del test di gravidanza. “Ovulix”, un nome idiota come tanti. Sbuffò e si diresse in bagno con il tampone in mano. Finita l'operazione, non avrebbe atteso l'esito seduta sul water o davanti allo specchio. Prima di sapere, doveva scrivere una lettera. L'ultima indirizzata a Ivan. Il suo amore. Il terrorista.

Era stato convocato d'urgenza in una delle sale segrete del Palazzo del Direttorio dell’Unione. I Quattro stavano schiumando di rabbia a causa della sua proposta di lanciare un referendum popolare sulle ultime scelte di carattere economico imposte agli Stati membri. Ma non aveva avuto alternativa: era con le spalle al muro e molti, nel suo Paese, ne chiedevano la testa. Quei dannati terroristi per primi, che minacciavano di mettere a ferro e fuoco le piazze delle principali città. Doveva prendere tempo, rallentare la corsa verso il baratro. Che il Paese fosse fottuto, era chiaro. Ma lui no. Lui non poteva fare la stessa fine. Il confine tra distruzione pubblica e salvezza personale non doveva essere superato. Mai.

Un uomo armato lo condusse lungo un corridoio buio che si concluse davanti ad una porta blindata. Dietro c'erano i Quattro ad aspettarlo. Sue vecchie conoscenze e ora alla guida delle più importanti istituzioni politico–finanziarie dell'Unione. Ripassò a mente i soprannomi con cui erano soliti chiamarsi fin dai tempi di Harvard: la Duchessa, la spietata primo ministro del Paese più ricco dell'Unione; il Chirurgo, il freddo governatore della Banca Centrale; il Poeta, l'abile affabulatore alla guida del Direttorio; la Iena, la cinica direttrice del Fondo Monetario. E poi lui, il governatore di un piccolo Paese dell'Unione. Il Presidente.

Caro Ivan,

questa lettera ti arriverà tramite Carlos. Non mi fido di lui, ma non posso fare altrimenti. È questo il vostro gioco: a me non è concesso decidere, solo adeguarmi.

Sono passati trentasei giorni. Li segno tutti, uno per uno, sul calendario, nell'illusione di strappare l'ultimo foglio, dopo averti sentito bussare alla porta. Ma gli unici colpi che sentirò saranno quelli dei poliziotti che verranno a prelevarmi per costringermi a rivelare il tuo nascondiglio. Ma io non parlerò. Perché nemmeno io so dove ti trovi. Meglio così? Solo perché potrò dimenticarti prima. Solo per quello.

Qualche minuto per i convenevoli e poi i Quattro cominciarono l'interrogatorio. Fu il Poeta a cominciare.

– Presidente, che combini? I mercati sono in subbuglio, la moneta unica è sotto attacco e rischiamo addirittura che salti l'Unione. Ti rendi conto delle conseguenze di un eventuale esito negativo del referendum?

Il Presidente sentì la fronte imperlarsi di goccioline di sudore. Si profuse in un sorriso e allargò le braccia, fatalista.

– Ho fatto ciò che dovevo, cari amici. Il Patto fiscale e le norme di austerity sono decisioni così impattanti da richiedere per forza una legittimazione popolare, onde evitare...

– Stronzate! – intervenne veemente la Iena – Non te ne frega un cazzo della legittimazione popolare! Sei con le pezze al culo e cerchi solo di prendere tempo!

C'aveva messo pochi secondi, quella troia, a capire il suo gioco, pensò il Presidente sempre più sudato. Un lungo respiro e alzò lo sguardo fiero.

– Farò finta di non aver capito...

– E invece ti conviene capire bene! – sbraitò la Iena.

– Calmiamoci! – intervenne la Duchessa – Capisco che la pressione popolare possa spaventarti, ma converrai che un vero capo si vede proprio in questi momenti. O riesce a tenere i suoi e a svolgere il compito assegnatogli, o non è adatto a fare il capo.

Un epitaffio. Glielo aveva appena cucito addosso. Il Presidente si sentì stretto in una morsa. Doveva prendere tempo. Si giocò allora la carta della reciproca convenienza.

– Un referendum vinto può essere un ottimo spot per l'Unione. Nazionalisti, comunisti, movimenti e gentaglia simile ne saranno spiazzati. Abbiamo tutto da guadagnare da una consultazione popolare. Credetemi...

– Il referendum non si deve fare – disse il Chirurgo, scandendo con lentezza meccanica le parole – Una campagna elettorale è troppo pericolosa. Non possiamo permettercelo. Il progetto deve andare avanti. Senza intoppi. Tu ormai sei compromesso. Non hai scelta. Ti devi dimettere.

Gli altri tre annuirono in silenzio. Il Presidente sbiancò, incredulo.

“Devo farlo perché è venuto il tempo di abbattere questo sistema”. Le tue ultime parole. Te ne sei andato come un animale che preferisce l'odore del sangue a quello delle lacrime. Tranquillo, non piango per te. Non più. Piango per i miserabili come me che non hanno la forza di sopportare quel sangue.

Bella la lotta armata, rivoluzionario? Bello lavare la vita con la morte? Non sai perché parlo così, non ancora. Ma lo immaginerai, tra poco. Qualcosa dentro di me potrebbe fiorire, sbocciando dalle radici dell'amore e dell'odio. Il tuo amore. Il tuo odio. Io non sono contemplata. Sono soltanto “la povera vittima da amare e liberare attraverso l'odio contro il sistema”. Sono le tue parole. Le stesse che dicevi mentre mi accarezzavi i capelli, dopo aver fatto l'amore. Ricordi? Le hai ripetute anche l'ultima volta, trentasei giorni fa. E in quel momento ho capito che non stavi parlando a me, ma a te stesso. Dovevi solo convincerti a fare il grande salto, quello del non ritorno, quello che ti proietta nell'Olimpo dei futuri eroi della rivoluzione. Alla fine la convinzione è arrivata. E con lei, la mia solitudine.

Il Presidente respirò a fondo, allentandosi il nodo alla cravatta. I pensieri correvano veloci. Era il più vecchio lì dentro. Era stato il primo a laurearsi. Pure il primo a buttarsi in politica. Si era ritagliato il potere un centimetro alla volta, con certosina dedizione, trasformando il piccolo Stato dalle bianche spiagge e dai templi antichi in un feudo personale. Era riuscito a convincere, illudere, millantare e alla fine era giunto al vertice. La scalata l'aveva consegnato al più alto gradino della piramide, quella da cui si guarda il mondo con un viso rilassato, perché l'unica cosa che può sfiorarlo è la brezza del mare.

– Ci spiace, Presidente, ma è inevitabile.

Era stato il Poeta a parlare. Il suo vecchio compagno di stanza all'università. L'amico con cui aveva diviso donne e fumo. Lo fissò, scuotendo la testa. Ricordò fin nel dettaglio quando, molti anni prima, si era fatto in quattro per tirarlo fuori dalla cella in cui l'avevano sbattuto per aver massacrato di botte una sgualdrina poco incline ad accettare le sue pratiche sessuali. Poi si alzò e si avvicinò a lui.

– Poeta, guardami negli occhi! Cosa ti hanno promesso in cambio della mia testa, eh? Dimmelo!

– Cosa stai insinuando, vecchio idiota?

Era stata la Iena a parlare.

– Taci! Non sto parlando con te! – le rispose a brutto muso il Presidente.

Il Poeta nel frattempo si liberò dallo sguardo feroce del vecchio amico e si allontanò di qualche passo, bisbigliando qualcosa all'orecchio del Chirurgo.

– Presidente, sii realista – intervenne la Duchessa – Non hai saputo dimostrare un'adeguata fermezza per guidare il tuo Paese in un momento come questo. L'età dell'oro è finita da un pezzo. I faraoni non servono al giorno d'oggi. Servono statisti. Per questo devi farti da parte.

Il Presidente si girò verso di lei, avvampando. Ma le parole faticavano ad uscire. Si accorse che stava balbettando, come un ragazzino rimbrottato dalla maestra. Strinse i pugni e chiuse gli occhi. Doveva mantenere la calma, non poteva permettersi di mostrarsi così vulnerabile.

– E con i terroristi come la mettete, eh? Se non ci fossi stato io a garantire l'ordine e la sicurezza nel mio Paese, la rivolta si sarebbe già allargata anche agli altri Stati. Ve ne rendete conto? Fare fuori me, significa accendere la miccia di una rivolta in tutta l'Unione! E allora sono cazzi vostri...

– Non sopravvalutarti, Presidente! – lo freddò la Iena – Il tuo Paese è da mesi sull'orlo di una guerra civile perché sei un inetto. Lascia fare a noi e nelle tue belle piazze di manifestanti non ne resterà nemmeno uno.

– Le nuove forze di polizia intergovernative garantiscono livelli di sicurezza elevati. È stato stanziato il 5% del Pil dell'Unione per un nuovo progetto di monitoraggio globale del web. Entro la fine dell'anno avremo una banca dati immensa. Sfuggire al nostro controllo sarà impossibile.

Le frasi robotiche del Chirurgo, si infilarono sino in fondo alla gola del Presidente. Il respiro divenne sempre più affannato e la lucidità diminuì velocemente.

– Non potete costringermi alle dimissioni! Io... io ho rischiato anche il culo per voi! C'è gente che vuole farmi la pelle laggiù!

– Mai quanto qua dentro! – rise la Iena – Si finisce come Robespierre, a credersi immortali.

– Presidente – aggiunse mansueto il Poeta – ti rendi conto che l'intero progetto dell'Unione rischierebbe di saltare se andasse male il referendum? Con conseguenze disastrose per tutti i popoli. Immagina il collasso economico, l'esplosione dell'inflazione e della disoccupazione. Vuoi davvero che la stabilità e il benessere raggiunti in questi anni sfumino nel giro di una consultazione elettorale?

La misura fu colma. Il Presidente non riuscì a sopportare il moralismo delle parole del vecchio amico. Stavolta non si trattenne e urlò tutta la sua rabbia.

– Non raccontatemi cazzate! Queste balle vanno bene per la stampa! So quanto voi perché è nata l'Unione: il più grande esperimento antidemocratico dal dopoguerra in avanti. Il sogno delle élite di riconquistare il potere attraverso una tecnocrazia invisibile. L'odio per gli Stati e la loro pretesa di gestire l'economia. Il desiderio di regalare le ricchezze pubbliche ai grandi gruppi finanziari con le privatizzazioni. Lo smantellamento del welfare per creare masse di miserabili indegni di vivere. Ricordate il nostro slogan, ad Harvard? Mantenere il popolo in uno stato di povertà effettuale e di ricchezza virtuale. O come amava dire la nostra Iena: inculalo e fagli credere che gli piace! Le so tutte queste cose! Non mi fregate...

I Quattro, a quel punto, si guardarono perplessi. Poi si scambiarono un cenno d'intesa e il Poeta prese la parola.

– Va bene, l'hai voluto tu! Adesso basta giochini e parole dolci. Tra un quarto d'ora uscirai da qua e filerai diritto a casa a dare le dimissioni. E tutto andrà bene. Altrimenti... tempo due settimane e ci sarà un grave attentato nel tuo Paese, che richiederà l'intervento urgente dell'esercito dell'Unione per ristabilire l'ordine. Le funzioni di governo passeranno al Direttorio e il piano andrà avanti comunque, come stabilito. Con l'unica differenza che tu e la tua famiglia sarete sepolti sotto due metri di terra, vittime innocenti dello spietato attentato terroristico. Fine della storia.

Il Presidente pensò che si trattasse di uno scherzo e fece per ridere. Poi capì che facevano sul serio e sentì il battito cardiaco rallentare, fino a ridursi ad un'eco lontana. Non disse niente e guardò fisso la parete, perso nel vuoto. I Quattro, intanto, si alzarono per avviarsi alla porta. La riunione era conclusa.

Mettere al mondo un figlio, oggi, è una sottile forma di masochismo. Forse ci vogliamo punire per non aver fermato il mostro prima che ci ingoiasse e portasse voi a estrarre le spade. Un figlio ti guarda in faccia senza pudore. E lo scopre se è nato dalla rabbia. Lo scopre subito se dovrà portare questo fardello per sempre. Orfano di un padre che io gli racconterò essersi sacrificato per dargli un futuro. E lui inchioderà i suoi occhi ai miei e proverà solo rabbia. Del resto è proprio quello che “loro” volevano: portarci ad odiare così tanto il mondo da lasciare quell'odio nei globuli rossi dei nostri figli. È il loro modo per dimostrarsi superiori. Non era sufficiente toglierci il lavoro, seminare il terrore, umiliarci. Non era neppure sufficiente costringerci a inginocchiarci, col capo chino e gli occhi gonfi, per chiedere pietà. Volevano di più. Volevano rubarci il senso stesso dell'esistenza. Volevano che dentro di noi montasse un odio così forte da sfibrare le cellule e far marcire il sangue. Solo allora il dominio sarebbe stato completo, perché loro sarebbero rimasti gli unici a “vivere”. Ci hanno provocato, ingannato, sfregiato affinché arrivassimo a consumare noi stessi. E hanno vinto. I vostri attentati, il mio rancore, la rabbia cieca delle strade lo dimostrano. Ci hanno trasformato in esseri di odio. Anch'io lo sono diventata, ormai.

Giunta a questo punto cosa mi resta da fare? Tutto dipenderà da uno stupido tampone. Colore rosso e aiuterò un bambino a rinnegare la sua natura per riprendersi la gioia di vivere. Colore blu e condurrò fino in fondo il loro gioco, per dare scacco alla vita stessa. Rosso o blu, il destino è segnato. Come il tuo, mio perduto amore.

“Si finisce come Robespierre, a credersi immortali”. Le parole della Iena gli rimbombavano nella mente. Come Robespierre... Si massaggiò le tempie che pulsavano forte. Passò le dita sulle rughe che increspavano il viso e scese giù, fino al collo. Come Robespierre... Fanculo! Mica glielo avevano ancora segato il collo! Lo avevano costretto a rassegnare le dimissioni, d'accordo. Ma non poteva finire così. Lui era ancora vivo! E una volta passata la bufera sarebbe tornato di nuovo in sella! Strinse le labbra in un sorriso, sempre più convinto, e realizzò che uno come lui non sarebbero mai riusciti a fotterlo. Il confine non sarebbe stato superato.

La ragazza rimase perplessa su quell’ultima parola, “amore”, forse ormai priva di significato. Poi lasciò cadere la penna sul foglio e ritornò in bagno.

Osservò il tampone ed ebbe un fremito. Un istante.

Poi fece un lungo sospiro e pensò a quello che doveva fare.

Un poliziotto condusse il Presidente in un androne poco illuminato, che dava su una strada secondaria. Fuori lo aspettava il collaboratore personale con due guardie del corpo. Il passo si fece rapido ed affrontò deciso il rigido freddo continentale. Il collaboratore gli andò incontro, pallidissimo. Appena gli squadrò il volto, il Presidente si sentì gelare le budella, con un presentimento tragico. Il fragile entusiasmo svanì in pochi attimi.

– Pessime notizie, Presidente.

Fissò il collaboratore, smarrito.

– Una giovane donna si è data fuoco, davanti al Parlamento, poco più di un'ora fa...

Un campanile gotico diede un primo rintocco.

– ...la folla è scesa per le strade. I terroristi incitano alla lotta armata...

Secondo rintocco.

– ...il Ministro degli Interni ha ordinato l'intervento dell'esercito...

Terzo rintocco.

– ...ci sono morti e feriti...

Il quarto rintocco non lo sentì neppure.

Chiuse gli occhi e appoggiò i palmi delle mani al collo. Era freddo. Inerte. Come quello di un morto che cammina.

Il confine era stato superato.