I Signori della Cenere - Assaggi - Sei il migliore

 


Cap. 13, pp. 94-6

Saronno, 12 marzo 2007


Punizione dal limite: missile di Pirlo, il numero 21 in casacca rossonera. Palla a fil di palo. Brivido lungo la schiena. Gola secca. Qualche goccia di paura nelle mutande.


Lui entra in ufficio e la vede seduta alla scrivania, pregna di sudore e sensualità. Le tette brillano alla luce del neon. Lui la guarda. Lei no.


Crespo, l’attaccante neroazzurro, s’impossessa di un pallone in mezzo all’area. È solo. Ha il tempo di prendere la mira. E sparacchia fuori. Migliaia di bestemmie salgono dritte al cielo.


Lui indugia, prima di sedersi al suo posto di lavoro. Percepisce elettricità nell’aria. Si volge per posare nuovamente il suo sguardo su di lei. E questa volta lei lo guarda. Profondamente. Lui annaspa.


Figo scatta sulla fascia sinistra. S’infila in mezzo a due giocatori, saltandoli come birilli. Arriva sulla linea di fondo. I due lo hanno raggiunto. Lui tocca la palla tra le loro gambe e danza con lei. Superati. Prende la mira e colpisce con forza. La sfera spiazza tutti. Ma Crespo, ancora lui, non ci arriva. Il palo sente solo il profumo del cuoio. Lo stomaco della curva vomita tutta la sua disperazione.


Lei non smette di fissarlo. Lui prende coraggio. Si avvicina. Trascina il dito sulla sua scrivania. Gli sembra di toccarle la pelle. Si morde il labbro, febbricitante di passione. Allunga una mano. Lei lascia fare.


Una palla vagante, senza importanza. Qualcuno la tocca in avanti, lasciandola in custodia al numero 99, il brasiliano rossonero. Il traditore. Il venduto. Il maledetto. Stoppa la palla, se la porta sul sinistro e da lontano mira all’angolo basso. Il pallone tocca l’erba e schizza dentro la rete. Il traditore, il venduto, il maledetto esulta e allarga le mani sulle orecchie a sventola per amplificare il boato del pubblico. In tribuna qualcuno chiede l’intervento del medico. Un uomo si è sentito male. Ha la sciarpa neroazzurra che lo soffoca.


È fermo davanti a lei. Azzarda. Le sfiora il braccio con le dita. Il naso gocciola per il desiderio. Lei gli sorride, gli prende le dita e... Lui non capisce. Il volto della donna cambia colore. Diventa rosso, le labbra si trasformano in un ghigno volgare. Dalla bocca escono due insulti, acuti come spilli. E poi una risata. Irriverente. Pesante. Assassina.


Lo zingaro svedese s’invola sulla fascia destra. Sfonda a testa bassa, scardinando la difesa avversaria. Arriva quasi sul fondo, ma prima che il pallone gli sfugga, calcia fortissimo in mezzo, dove il portiere vestito di verde tocca con malagrazia, offrendo a qualche neroazzurro la possibilità di tirare a porta vuota. Il più veloce è un neoentrato, “el jardinero” argentino. Lo davano per finito. Lo davano per bollito. Ma lui, “el jardinero”, sigla il pareggio. L’uomo in tribuna non vuole abbandonare il suo posto. Il medico è cacciato dagli spalti. Il cuore è tornato a pompare sangue buono.


Lei ha smesso di ridere. È tornata al suo lavoro. Lui, invece, è ancora in piedi. Impietrito. Non doveva osare. Il suo tempo è finito. Lui è bollito. Lo pensano tutti. Lo sanno tutti. Lei per prima. Cerca di voltarsi, per nascondere la vergogna. Ma le gambe restano ferme. Le caviglie si oppongono. Le ginocchia non si piegano. La ribellione è partita. Solo il cervello non se ne accorge e piange la sua mestizia. Ma il cervello non serve. Bastano i polpacci. Bastano le braccia. Bastano i testicoli. La sua presa diventa ferma e decisa. Si allunga, testarda, verso il suo seno. Lo sfiora, senza esitazione. Poi lo tocca. Infine lo palpa. Lei sgrana gli occhi, stupita. Sta per reagire, ma l’indice di lui le si posa sulle labbra con delicata fermezza. Lei ingoia aria, a mezzo respiro. Lui la trae a sé. Lei lascia fare. Non ride più. Suda, eccitata.


“El jardinero” non è sazio. Colpisce col tacco, spalle alla porta, sfiorando la traversa. Lo stadio coperto di neroazzurro sente l’odore del sangue del diavolo. La caccia è appena iniziata. La preda è alle strette. Basta poco per abbattere il cinghiale. L’odore del fucile appaga ogni desiderio. È ancora lui, il giustiziere argentino, ad abbattere la resistenza nemica. Lotta come un leone, lascia il difensore steso per terra e consegna un pallone di velluto allo zingaro svedese, che non pensa e calcia come sa. Il cuoio sfrigola sull’erba e vola in fondo al sacco. Il cinghiale è abbattuto. L’urlo belluino della curva è superato da quello, ancora più selvaggio, dell’uomo in tribuna. Il suo cuore ha sfondato la cassa toracica. Le mani strette a pugno si alzano al cielo. La sua vita è lì dentro. Tutto il resto non esiste.


Il suo pube preme con forza dentro di lei. La sente ansimare, con un ronzio continuo, a volume sempre più alto. L’odore del sesso gli entra nel midollo, e più lo sente, più è impetuosa la forza delle sue spinte. Alza lo sguardo e scorge nella vetrata di fronte i loro due corpi, quello di lei piegato sulla scrivania e quello di lui, dietro, scosso da una forza taurina. Le sue mani stringono i capezzoli duri e lasciano profonde impronte sulla pelle gonfiata di silicone. Lui le chiede un riconoscimento. Lo reclama. Lo pretende. Lei geme senza rispondere. Lui stringe con più forza e spinge in profondità. Lei urla, di piacere, e pronuncia finalmente tre parole. Non ne servono altre. Bastano quelle. “Sei il migliore”. Poi lui china il capo sulla sua schiena e affonda i colpi decisivi. Il seme esce caldo, di getto, mentre lui grugnisce nelle sue orecchie. La vista è perduta. Il timpano offeso. L’anima passa tra le labbra e si diffonde in tutta la stanza. Come quando si nasce. O come quando si muore.