I Signori della Cenere - Assaggi - Sete

 


Cap. 44, pp. 355-7

Messico, fine 2015


Il turno dentro la maquiladora, per madre e figlia, era terminato. Dopo dodici ore di lavoro, potevano finalmente lasciare lo stabilimento.

- Mamma, ho sete! - si lamentò la figlia, una bambina magra ed emaciata di circa dieci anni, mentre le due si dirigevano a piedi verso la loro baracca.

Le nuove regole della maquiladora prevedevano la fornitura di un solo bicchiere d’acqua giornaliero alle operaie, a metà turno, incluso nella loro paga. Se quell’acqua non bastava, bisognava portarsela da casa. Ma ormai da mesi l’acqua che arrivava nelle abitazioni dei quartieri fatiscenti, come quello in cui abitavano le due, oltre a costare carissima, era impura. A loro, poi, l’avevano addirittura staccata, alcune settimane prima, dopo svariate bollette non pagate. Per cui non avevano altra scelta che comprarla in bottiglia a peso d’oro e portarsela nello stabilimento. Ma quando non avevano abbastanza soldi per farlo, come in quei giorni che precedevano la magra mesata e quella precedente era finita da un pezzo, allora pativano la sete.

La donna guardò la bambina e le si strinse il cuore. Si sentiva maledettamente in colpa nei suoi confronti. A differenza del solito, quel giorno, arsa da una sete insopportabile, non aveva rinunciato al suo bicchiere d’acqua per darlo alla figlia, ma l’aveva tenuto per sé. Un gesto che ora le pareva imperdonabile.

Passarono di fianco a un chiosco che vendeva acqua in bottiglia. La figlia, piagnucolando, implorò la madre di comprargliene una. La donna si fece coraggio e si avvicinò al venditore, chiedendogli di farle credito di un litro d’acqua. Quello scosse la testa. La donna lo pregò in ginocchio, ma non vi fu nulla da fare. Si rialzò, insultò l’uomo e trascinò via di lì la figlia, che iniziò a piangere a dirotto.

La madre cercò di calmarla, senza riuscirvi. Temendo d’impazzire se le urla della figlia fossero andate avanti ancora, l’afferrò per un braccio e la trascinò su un lato della strada, dietro a un cespuglio. Poi le mise una mano davanti alla bocca.

- Adesso berrai. Ma smettila di urlare.

La bambina, spaventata, fece di sì con la testa. Solo a quel punto, la madre le tolse la mano di bocca.

Poi estrasse dalla borsetta consunta un bicchiere di plastica e, sotto gli occhi attoniti della figlia, si abbassò la gonna e le mutande, accovacciandosi sopra il bicchiere.

L’urina lo riempì in pochi secondi. A quel punto, la donna lo porse alla bambina.

- Bevi.

La bambina la guardò con tanto d’occhi.

- La tua pipì? - domandò esterrefatta.

- Sì, - rispose la donna con un groppo alla gola, trattenendo le lacrime. Negli ultimi tempi, aveva sentito spesso di tanti che, in mancanza d’altro, erano arrivati a bere la propria urina. Ogni volta, le era venuto il voltastomaco, e si era detta che lei non sarebbe mai arrivata a tanto.

- Che schifo! - fece la bambina.

- Non fa schifo. Guarda.

La donna vinse la repulsione e bevve una sorsata del liquido giallo. Dovette fare uno sforzo immane per non sputare fuori tutto. Dopo aver ingoiato, tuttavia, si disse che, in effetti, quello non era veleno. Bevve un altro sorso, questa volta con meno resistenza. Infine porse il bicchiere alla figlia.

- Visto? Ora bevi tu.

Titubante, la bambina prese in mano il bicchiere. Se lo portò lentamente alla bocca. Lo inclinò fino a farsi arrivare l’urina sulla punta della lingua. Il sapore acidulo la costrinse a una smorfia. Allontanò da sé il bicchiere, sotto lo sguardo preoccupato della madre. Il contatto con il liquido, però, aveva risvegliato la sua sete, acuendola ulteriormente. L’arsura in gola diventò a quel punto insopportabile ed ebbe la meglio. La bambina chiuse gli occhi e si riportò il bicchiere alla bocca. Bevve tutto quanto d’un fiato. E alla fine si sentì meglio.

- Grazie, - disse alla madre.

La donna sospirò sollevata. L’idea che le bastasse urinare per dissetare se stessa e la figlia, improvvisamente, la riempì di tranquillità. Ma poi, di colpo, un pensiero terribile le attraversò la mente e le incupì il volto.

Senza bere acqua, prima o poi, avrebbe smesso anche di pisciare.