Suonare solo per le piante

Racconto - Seconda puntata

 
 

25 febbraio

I comuni dove il virus si è diffuso di più sono stati chiusi dal governo: nessuno può entrare né uscire. Zona rossa, l’hanno chiamata. Sono posti piuttosto lontani da noi, per fortuna. D’altra parte, questa casa è lontana da tutto. I vicini più prossimi abitano a un chilometro e mezzo. Il primo centro abitato è a quattro chilometri. E la prima città, giù a valle, a venti. Non sono mai stato così felice di vivere in campagna.

 

27 febbraio

Il contagio avanza. Il governo ha chiuso le scuole in tutta Italia. Per una settimana, poi si vedrà. Lisa è a casa. Le hanno detto di registrare le sue lezioni e pubblicarle sulla piattaforma online dell’istituto. Adesso è di là che parla allo schermo del suo computer. Questa faccenda del virus la spaventa moltissimo. Ora è lei che la notte non dorme.

A me questa situazione fa più che altro rabbia. Molti Paesi hanno chiuso i voli da e per l’Italia. Fra questi, Grecia e Turchia. Il nostro viaggio, e prima ancora il nostro matrimonio, mi sembrano ora una meta lontana, difficile da raggiungere. In certi momenti, ho la sensazione che matrimonio e viaggio di nozze siano stati solo un’illusione, come se non avessimo mai davvero deciso di sposarci.

E poi mi ha chiamato il mio agente. Mi ha detto che per ora l’uscita dell’album è confermata, come pure le date del tour. Ma non esclude che, se le cose dovessero peggiorare, possa esserci un rinvio a data da destinarsi. Forse addirittura all’estate.

Anche l’estate mi sembra solo un’illusione, adesso. Sarà perché ha finalmente iniziato a piovere, e là fuori ora fa un freddo cane.

 

2 marzo

La zona rossa è stata estesa. Dentro ci sono finiti, da un giorno all’altro, anche i miei genitori e quelli di Lisa. Ora non possiamo più andare a trovarli, come facciamo all’incirca una volta al mese. Adesso li sentiamo per telefono tutti i giorni, anziché un paio di volte alla settimana come di consueto. Stanno bene, ma attorno a loro gli ammalati aumentano. Siamo preoccupati, perché il nuovo virus ammazza soprattutto i vecchi. E i nostri genitori sono vecchi senz’altro, anche se la loro salute è buona. Nella zona rossa, i morti sono ormai una cinquantina al giorno. E altrettanti quelli che vanno in terapia intensiva. Gli ospedali rischiano di non reggere l’urto.

 

5 marzo

Tutta Italia, da oggi, è zona rossa. Significa che non si può più uscire di casa, se non per andare al lavoro o fare spesa (e quest’ultima solo nel proprio comune di residenza).

Sta succedendo come in Cina, dove ora, dopo aver colpito ottantamila persone in meno di due mesi, il virus pare stia rallentando la sua diffusione. Ma in Cina c’è un partito unico che decide rapido e senza intoppi. Qui in Italia maggioranza e opposizione, e i partiti in seno alla maggioranza stessa, non fanno altro che beccarsi anche in questi giorni, ed è tutto più lento e inefficace. La gente, dal canto suo, rispetta le ordinanze con ritrosia, in omaggio alla proverbiale indisciplina italica. Fino a ieri, fuori dalla zona rossa, tutti si muovevano come nulla fosse, vantandosene persino, e portando in giro il virus. Il contagio si sta diffondendo, in proporzione, più velocemente che in Cina. E con un maggiore tasso di letalità. Forse le democrazie sono più esposte ai virus delle dittature?

Qualche decisione, in ogni caso, il governo l’ha presa, e andrà per forza rispettata. Gli eventi di ogni tipologia, fra le altre cose, sono stati vietati per un mese, fino al 3 aprile. Le prime quattro date del mio tour sono quindi state annullate e rimandate a data da destinarsi. La casa discografica ha di conseguenza rinviato anche l’uscita dell’album. Rischio di vedere vanificato un anno di duro lavoro. Ho chiamato il mio agente. Mi ha detto che, se non altro, la data di Berlino per ora è confermata. In Germania i contagi sono ancora solo poche decine, come del resto da noi fino ad alcuni giorni fa. Speriamo che la disciplina teutonica, proverbiale anch’essa, faccia la differenza e riesca a limitare i danni.

Io, comunque, continuo a suonare, come e più di prima. E ora la notte, paradossalmente, dormo come un sasso.

Lisa, invece, dorme poco ed è a pezzi. Parla allo schermo del suo computer, ma lo schermo non le risponde.

Fuori continua a piovere.

 

9 marzo

Pare che rimanere chiusi in casa sia un problema per la maggior parte delle persone. Le forze dell’ordine ne stanno sorprendendo decine a circolare senza permesso. Rischiano l’arresto, pur di uscire e assembrarsi da qualche parte. Io, invece, a casa, solo con Lisa, ci sto bene. A parte il cibo e i concerti, già prima del virus non vedevo molti altri motivi per uscirne.

Di concerti non si parla fino al 3 aprile, di cibo invece bisogna parlare eccome. Le scorte, qui in casa, si stanno esaurendo. Lisa, che ormai è diventata paranoica e ragiona e si comporta come se il virus fosse ovunque nell’aria, sta cercando di trovare qualche negoziante disposto a portarci a casa la merce. Ma, a parte un fruttivendolo bio specializzato nelle consegne a domicilio, qui in zona non ha trovato altro. E quindi, per il resto, bisogna andare al supermercato, in paese. Lisa è terrorizzata alla sola idea, non solo di andare lei, ma pure che vada io. Le ho risposto che qualcuno deve farlo. Si è convinta, andrò domani. Lisa mi ha consegnato una lista chilometrica di roba da prendere. E una mascherina da indossare.

Mi sembra di essere in uno di quei film catastrofici che ho sempre detestato. Anche se in questo momento non ricordo nemmeno un titolo.

 

10 marzo

Al supermercato ho trovato solo metà della roba che Lisa aveva messo nella lista. Questo l’ha sconfortata.

Appena sono tornato, mi ha fatto disinfettare le mani con l’alcol, poi mi ha costretto a spogliarmi completamente e ha messo tutti i miei vestiti in lavatrice, a novanta gradi. E poi mi ha detto di farmi una doccia bollente, usando tanto sapone.

Fare spesa è stata un’esperienza surreale. Con la mascherina in faccia, tutti mi guardavano torvi, come fossi un appestato. Mi sono sentito colpevole di qualcosa. Ma di cosa?

 

13 marzo

M’informo poco, normalmente. L’informazione mi annoia. In questi giorni, però, sto facendo eccezione. Niente giornali, perché bisognerebbe uscire a comprarli. Niente tivù, troppo scadente. Ascolto la radio e navigo su internet, dove, fra tanta spazzatura, qualcosa di buono ogni tanto si trova.

Mi sono imbattuto in una mappa interattiva, fatta molto bene, che riporta i contagi in ciascun Paese del mondo. Sono ormai centocinquantamila in oltre cento Paesi, e cinquemila i morti. Qui in Italia siamo a millecinquecento, solo ieri ne sono caduti duecentocinquanta. I contagiati sono poco più di quindicimila. Il tasso di letalità, qui da noi, è più alto di quanto dicessero all’inizio, quasi il dieci per cento, ma, chissà perché, sono in pochi a farlo notare.

Della crisi degli ospedali si parla solo in generale, senza dettagli. Mia madre, al telefono, mi ha detto che ormai, da loro, hanno chiuso il pronto soccorso, e iniziano a rimandare a casa i pazienti che non siano gravissimi. E pure per questi ultimi le cose si fanno difficili, perché i posti per le terapie intensive sono ormai quasi esauriti. Le ho detto di rimanere chiusa in casa e mi ha risposto di stare tranquillo, che lei non esce e che mio padre lo fa solo per andare al supermercato, una volta alla settimana. Ho scoperto che anche lei lo manda in giro con una lista chilometrica in mano e la mascherina in faccia.

 

14 marzo

Oggi, per radio, ho sentito un tizio, uno storico o un antropologo, non ricordo, spiegare che, nelle società preistoriche di cacciatori-raccoglitori, epidemie come quella in corso non esistevano. Quasi tutte le malattie infettive trasmesse dagli animali all’uomo, morbillo, vaiolo, tubercolosi, peste, si sono diffuse infatti solo a partire dalla rivoluzione agricola di diecimila anni fa, quando la gente iniziò a stabilirsi in insediamenti permanenti sempre più grandi e antigienici, convivendo promiscuamente con gli animali addomesticati e creando così focolai ideali per le malattie. I cacciatori-raccoglitori, invece, vagavano in piccoli gruppi nomadi, senza animali, e non fecero mai i conti con le epidemie. Il tizio, poi, ha allargato il discorso ed è arrivato a sostenere che, proprio a partire dalla rivoluzione agricola, da lui definita la più grande impostura della storia, Homo Sapiens non ha fatto che regredire, diventando sempre meno forte e meno sano a livello del singolo individuo. I cacciatori-raccoglitori avevano una dieta più diversificata dei contadini, pastori, operai e impiegati venuti dopo di loro, avevano bisogno di molte meno cose, lavoravano meno ore, oziavano di più, e avevano un’esistenza meno alienata e più gratificante.

Il conduttore della trasmissione radiofonica seguente, invece, ha definito innaturale questa condizione di clausura domiciliare che sta costringendo milioni di italiani a non consumare, mettendo così l’economia in ginocchio. Per questo si è augurato che tutto torni presti alla normalità.

Un noto critico d’arte, dal canto suo, ha postato un video sui suoi profili social per scagliarsi contro governo, medici e scienziati che, a suo dire, stanno inventando l’emergenza, perché il nuovo virus non è altro che una semplice influenza.

Un altro, un giornalista caduto in disgrazia, ha avanzato l’ipotesi che il virus sia stato prodotto in un laboratorio batteriologico statunitense e poi appositamente diffuso in Cina.

 

18 marzo

Lisa si è data alla cucina, per quanto cucinare non le sia mai piaciuto. Si arrangia con gli ingredienti che trovo al supermercato - sempre meno vari - e prepara risotti cremosi, torte soffici e biscotti croccanti. Poi posta le foto dei piatti sul canale social della scuola, con l’hastag #iononmiannoio. Cerca di coinvolgere i suoi ragazzi più di quanto possa fare con le lezioni registrate.

Io, dal canto mio, continuo a suonare. Ho suonato per ore il concerto per pianoforte di Schönberg, cercando di dimenticare che proprio oggi doveva uscire il mio album, e sforzandomi di credere che il concerto di Berlino non verrà annullato.

Cerchiamo di distrarci, di far finta che il virus non esista. Ma non ci riusciamo, e facciamo poco l’amore.

 

19 marzo

Avevo dato al mio agente il permesso di farmi chiamare da un giornalista per un’intervista. Mi ha chiamato oggi. Ha voluto sapere cosa ne penso della situazione. Gli ho detto che mi sembra seria. Poi ha voluto sapere se mi dispiaceva che l’uscita del mio nuovo album, tanto atteso, sia slittata. Gli ho detto di sì. Poi ha voluto sapere se ho idea di quale potrebbe essere la nuova data di uscita. Gli ho detto che non lo so.

 

23 marzo

L’atteso calo nella diffusione del contagio non arriva, e anzi gli ammalati aumentano. Per di più, oggi è stato diffuso uno studio inquietante: gli autori, a quanto pare scienziati attendibili, dicono che proprio in Italia il virus è in qualche modo inspiegabilmente mutato, diventando più letale. Altri scienziati, e il governo, hanno subito ribattuto che non è così, che lo studio è fallace. Il governo continua a ripetere che bisogna restare a casa e che il peggio, fra qualche tempo, passerà.

Fatto sta che i morti continuano ad aumentare in modo esponenziale, non solo in Italia, ma ovunque in Europa. Anche gli Stati Uniti sono arrivati a un punto critico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che già aveva parlato giorni fa di pandemia, aggiungendo però che si trattava della prima pandemia “controllabile” della storia umana, adesso mette in dubbio la sua stessa affermazione, dicendo che risulterà controllabile solo se tutti i Paesi del mondo si affretteranno ad adottare misure draconiane, e ogni cittadino a rispettarle scrupolosamente.

Io e Lisa non facciamo altro. Il massimo che ci concediamo è stare fuori in terrazza. O nell’orto. Il pollice verde è quello di Lisa, il mio è sempre servito solo a suonare il piano, perché le mie mani vanno preservate. Ma oggi l’ho aiutata anch’io a piantare carote, lattuga e patate. Dice Lisa che dobbiamo prepararci al peggio, che le forniture di cibo potrebbero scarseggiare ulteriormente, se le cose non migliorano, che avere a disposizione i prodotti dell’orto potrebbe essere provvidenziale. Ho annuito, senza credere davvero allo scenario apocalittico che ha prospettato. E poi mi sono messo a interrare le piantine. La terra smossa è umida, morbida, piacevole al tatto. Non fa male alle mie mani.

 

28 marzo

Oggi era in programma un flashmob nazionale. A mezzogiorno bisognava affacciarsi alle finestre di casa e fare un applauso a tutti i medici e al personale sanitario italiano, che in questi giorni sta stoicamente resistendo all’avanzata del virus. A mezzogiorno, io e Lisa siamo usciti in terrazza e abbiamo applaudito all’indirizzo della campagna che ci circonda.

Poi siamo rientrati e, a tavola, mentre mangiavamo, Lisa è scoppiata a piangere, facendomi notare che è da quasi un mese che non vede anima viva a parte me. Ho cercato di consolarla e le ho proposto di andare lei a fare spesa la prossima volta. Si è messa a piangere ancora più forte, dicendo che ha paura, una paura tremenda di uscire, ancor più da quando in tivù hanno detto che il virus sta iniziando a uccidere anche le persone sotto i cinquant’anni. Tra le lacrime, Lisa mi ha detto che si vergogna di se stessa, chiusa in casa a tremare di paura mentre là fuori c’è gente che muore per salvare gli altri. Ho provato a consolarla, ma non ci sono riuscito.

Io, da parte mia, mi vergogno quando mi accorgo, ogni tanto, che questo isolamento, in fondo, mi piace. Solo che non riesco a piangere come fa Lisa. E il senso di vergogna mi resta dentro, fino a quando non lo dimentico.